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Stalking occupazionale e mobbing

Le molestie sessuali sul luogo di lavoro sono state oggetto di definizione normativa, in ambito giuslavoristico, dopo la direttiva numero 2002/73, la quale ha fornito la definizione di molestie sessuali in aggiunta a quelle di discriminazione (diretta e indiretta) e di molestie o “mobbing di genere” (descrivendo queste ultime, lo si ricorda, come situazioni in cui si verifica un comportamento indesiderato connesso al sesso di una persona avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di tale persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo). Le molestie sessuali vengono descritte dalla direttiva menzionata come situazioni in cui si verifica un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma fisica, verbale o non verbale, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare creando, anche in tal caso così come nel mobbing di genere, un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo. La definizione di molestia sessuale (così come quella di molestia morale) contempla una nozione “soggettiva” di discriminazione, volta a perseguire il comportamento avente lo scopo di ledere la dignità della persona, e anche una nozione “oggettiva” espressa in termini di verificazione di un dato comportamento oggettivamente indesiderato. In ragione di tale ultima caratteristica, la molestia, sia di genere (o mobbing di genere) che sessuale, si può configurare anche quando non sia ravvisabile un’intenzionalità dell’autore e attraverso ogni ipotesi di comportamento, purchè sia indesiderato. Il legislatore italiano, recependo le linee guida comunitarie, ha statuito che sono considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ossia “quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo” (articolo 2 comma 1c del decreto legislativo. numero 145/2005, ora trasfuso nel decreto legislativo 11 aprile 2006, numero 198, o codice delle Pari opportunità, all’articolo 26, comma secondo). Da una parte, quindi, le molestie in senso lato sono caratterizzate da comportamenti motivati da ragioni riguardanti il genere (articolo 26, comma primo, decreto legislativo 198/06), mentre dall’altra le molestie sessuali, oggetto del presente contributo, consistono in comportamenti aventi come contenuto proprio il sesso. La fattispecie di molestie sessuali a volte si associa ad una più generale situazione di aggressione psicologica del lavoratore o mobbing. Sono i casi in cui l’atteggiamento persecutorio tenuto nei confronti del lavoratore da parte del datore di lavoro o di altro collega o superiore gerarchico ha trovato origine nel rifiuto opposto alle avances o agli atteggiamenti a connotazione sessuale. La mancata condiscendenza alle richieste di carattere sessuale del superiore gerarchico è ripagata spesso da una pressione psicologica e da una sistematica opera di boicottaggio del lavoro svolto nei confronti della vittima, con frequente irrogazione di sanzioni disciplinari e conseguente arresto della carriera. Nei casi più gravi tale situazione di molestia può proseguire anche nella vita privata della persona; si tratta in questi casi di stalking occupazionale, intendendosi per tale una forma di stalking in cui l’effettiva attività persecutoria si esercita nella vita privata della vittima, ma la cui motivazione proviene invece dall’ambiente di lavoro, dove lo stalker ha realizzato, subito o desiderato una situazione di conflitto, persecuzione o mobbing. Sono i casi, ad esempio, in cui il rifiuto di avances non viene accettato dal datore di lavoro o dal superiore gerarchico della vittima, la quale comincia ad essere “tempestata” di telefonate anche dopo l’orario di lavoro, o pedinata nel tragitto casa lavoro o seguita in ogni spostamento, subendo un pregiudizio alle sue abitudini di vita associato a sofferenza psichica o paura per la propria incolumità. Si possano verificare, però, anche episodi di stalking in ambito lavorativo non necessariamente posti in essere dal datore o dal superiore. Si pensi al caso di quel dipendente che, volendosi vendicare del datore di lavoro ritenuto arrogante e autoritario, lo attacca sulla sfera privata con telefonate continue nel cuore della notte, messaggi sms intimidatori, minacce, ingiurie, ecc.   Spesso dunque lo stalking occupazionale può essere attuato come strategia aggiuntiva del mobbing, per esempio, per costringere la vittima alle dimissioni o a rinunciare ad una promozione; oppure attuato da una vittima di un conflitto per vendicarsi del suo aggressore.

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